Serafino Pellissier
Serafino PellissierSciatore d'altri tempi
Puoi parlarci della tua vita sportiva, delle gare che avete organizzato?

Io non facevo fondo, ho cominciato direttamente con la discesa.

Anche qui organizzavamo delle gare: avevamo deciso di preparare una competizione di Slalom Speciale il 19 marzo. Non sapevamo bene dove svolgerla, c’erano pochi posti adatti qui a Rhêmes-Saint-Georges. Per finire abbiamo optato per una discesa nel vallone della Comba: il tracciato passava per l’attuale hameau de Les Cris e poi passava giù vicino al municipio. Però era necessario batterla e non avevamo molti mezzi: abbiamo cercato tutte le persone disponibili e, a piedi, abbiamo cominciato a battere la pista dal fondo verso l’alto. Poi abbiamo lisciato tutto con gli sci per prepararla al meglio per il giorno dopo. Quell’anno in quei giorni c’era ancora un metro e venti di neve; era bellissimo!!

Per svolgere la gara già allora doveva esserci un direttore di gara, che si preoccupava anche della sicurezza: dopo aver constatato che non c’era una barella aveva dato ordine di cercare una slitta e metterci sopra un materasso, in caso di bisogno. Questa gara è stata vinta da Arturo Allera di Cogne. Eravamo tutti veramente molti contenti perché c’era stata molta gente e anche perché era stato veramente duro preparare e fare questa gara.

Come e dove vi allenavate?

Quando ci allenavamo c’era sempre parecchia gente. Si batteva la pista dal Courthoud fino a Frassiney. Per quelli che facevano fondo la pista era vicino a Proussaz e poi passava nei boschi. Noi prima battevamo la pista e poi facevamo garette sempre tra di noi. I tracciatori spesso partivano un’ora prima della gare, magari con un fiasco. Nella pista dal villaggio del Courthoud a Frassiney il percorso era libero, c’erano solo alcune bandierine che indicavano a grandi linee dove bisognava passare. Spesso, addirittura vincevano quelli che non sapevano sciare molto bene: semplicemente si buttavano e facendo raspa avevano la meglio sugli altri che possedevano un po’ più di tecnica. Mi ricordo ancora tutte le cadute in mezzo al clapey (pietraia ndr) dell’hameau di Proussaz.

Dopo però l’attività si è spostata altrove.

Quando il Parco ci ha dato la disponibilità, abbiamo fatto una gara di Slalom Speciale a Rhêmes-Notre-Dame, proprio dove ora ci sono gli impianti di risalita. Però non avevamo nessun mezzo per prepararla, così siamo andati dall’Assessore Claudio Manganone che ci ha promesso qualche aiuto. Ci ha dato delle pale meccaniche per fare degli spiazzi per pulire la strada dato che a quei tempi, non passando molte macchine, non c’era bisogno di aprire sempre la strada regionale. Per questa gara abbiamo fatto aprire l’albergo di Lise Fusinaz (l’attuale Grande Rousse ndr), ma chi vi ha dormito ha dovuto farlo al freddo come anche molte altre volte.

L’attrezzatura per preparare i tracciati com’era?

Usavamo pali fissi ottagonali; venivano costruiti da Elso Thérisod. Erano di tre colori: rossi, blu e gialli. Quelli gialli, che si distinguevano meglio, venivano usati soprattutto nei pettini per facilitare gli atleti. Non c’erano pali esterni come al giorno d’oggi.

Ti ricordi qualche avventura particolare?

Sì, io e Aldo Berthod eravamo andati a Pila il giorno dopo che si era disputata la Coppa Guido Saba per provare la pista. Eravamo sulla seggiovia ad un solo posto quando si è fermata. Io ero ad una altezza di 2 metri, Aldo era più in alto. Ci siamo tolti gli sci e dopo averli buttati giù ci siamo buttati anche noi. Siamo poi andati a chiedere perché avevano fermato tutto quando c’eravamo ancora noi sopra. Un responsabile degli impianti ci ha spiegato che, per colpa del vento, era caduta una croce che aveva scarrucolato il cavo. Se non ci buttavamo, rimanevamo appesi tutta la notte

Come hai cominciato a sciare?

Abbiamo cominciato a sciare già prima della fondazione dello Sci Club Granta Parey. Allora ai tempi del fascismo, ai figli della lupa e agli avanguardisti era richiesto fare sport, si doveva fare sport. Il mio compagno Arturo Martin aveva sciato con Jean Maron e dopo che era uscito dal gruppo era uno dei più bravi. Con noi c’era anche Candido Paradisi.

Lo Sci Club com’e nato?

Ci siamo trovati le prime volte da Aristide Obert ma dopo le prime gare, ci hanno detto che non potevano darci i punti perché non eravamo iscritti. Così abbiamo riunito quelli del fondo e i discesisti e abbiamo fondato il gruppo. Anche Don Ettore Milliery ha fatto il presidente, però durante i suoi anni di presidenza l’attività si è un po’ fermata. Con Giuseppe Pellissier prima e successivamente con Battista Bérard tutta l’attività è stata ripresa.

Com’era il gruppo quando sciavate assieme?

Grazie alla Scuola Alpina e al Colonnello Favre ci veniva dato del materiale per le garette.

Eravamo un bel gruppetto, Aldo Suino faceva parte della Propaganda Valligiana, Romildo Pellissier e altri giovani sono poi entrati nelle squadra ASIVA. Facevamo un po’ di gare in molti comuni: Introd, Morgex e altri.

E i materiali?

Avevamo sci di frassino, fatti da Elso Thérisod. Poi sono arrivati gli sci con le lamine di legno ed erano molto migliori. Prima delle gare si dovevano sciolinare: passavamo il sabato pomeriggio a fondere la sciolina con una lampada a benzina. Poi si partiva per provare la pista. Se la gara era abbastanza vicina si partiva di pomeriggio; quando si andava in posti più lontani immancabilmente la giornata si allungava: aspettavamo le premiazioni e poi si faceva la merenda tutti insieme.

Già mio papà sciava, aveva fatto il carabiniere a Bardonecchia e faceva telemark ma noi non eravamo capaci. Ha smesso quando abbiamo cominciato noi.

Tra di noi c’erano anche alcuni bravi: venivano da molti posti diversi e questo era un vantaggio. Ad esempio Ilvo Berthod di Valsavarenche sciava bene, così tutti eravamo spronati a dare il meglio per batterlo.

Chi insegnava?

In anni più recenti, per quanto riguarda il fondo, venivano Alessio Gontier, Giovanni Guala e Mirko Stangallino ad insegnare nella settimana prima di Natale. Molti avevano cominciato prima con la discesa per poi darsi al fondo. C’era una pista che passava vicino all’attuale forno comunale per poi arrivare dove adesso c’è la Maison du Guide di David Pellissier.

Alcuni di noi invece, tra i quali Romildo Pellissier e Guido Bannard, erano stati presi dall’ASIVA e sciavano con Istruttori come Paney e David Davide, padre di Leonardo Davide. Romildo si era molto informato ed era diventato un vero appassionato. I soldi erano molto importanti: chi se lo poteva permettere continuava a sciare, gli altri purtroppo smettevano.

E qualche altra gara?

C’era molta gente forte, nonostante la concorrenza: Guido Bannard una volta ha vinto il primo premio a Cogne, e poi anche ad Etroubles. In seguito a causa del lavoro ha smesso di sciare.

Poi hai continuato con i ragazzi? Quando sciavate?

Sciavamo solo al sabato e alla domenica perché i ragazzi andavano a scuola anche se nelle ore di sole si sarebbe potuto fare un giro. La pista era vicino alla scuola. Dopo qualche anno si era cominciato a battere una pista per il fondo che andava dall’attuale campeggio al di Rhemes e andava a girare sotto al torrente Pescioy e tornava verso il torrente Balantze: era molto pericolosa perché esposta alla valanghe così non si è più potuta batter, anche se avevamo appena comprato una motoslitta. Così ci siamo spostati a Rhêmes-Notre-Dame.

Io e Vittorio Barmaz che avevamo le macchine portavamo tre o quattro ragazzi a fare le gare. C’erano ragazzi di altri paesi anche; i nostri però, una volta entrati in collegio hanno smesso. Ha poi ripreso bene l’attività nel ’78 con René Petit.

Quelli in ASIVA avevano qualcosa in più; Paney li metteva alla prova facendo loro fare dei salti: se ‘saltavano’ e non ‘ammortizzavano’ il salto si arrabbiava.

Per qualche anno ho anche fatto un noleggio di sci poi mi sono dedicato alla posta, lavoro che hanno fatto anche mio nonno e mio papà.

Com’era strutturata l’attività dello Sci Club?

C’erano molti meno fogli che al giorno d’oggi, ma dovevamo già fare dei rendiconti da passare all’ASIVA. In base ai punti che avevamo fatto ci davano qualche premio. C’era un segretario che si occupava di questo.

Per le gare invece, facevamo una telefonata, il giorno dopo davamo i fogli e pagavamo la quota.

Negli anni più recenti, portavo i ragazzi in trasferta già il giorno prima e nel rientro qualcuno rimaneva sempre a piedi. Le piste non si provavano: si arrivava e si faceva la gara. Non si conoscevano neanche le condizioni: i primi erano fortunati, gli altri si arrangiavano come potevano.

Hai vissuto qualche momento particolare?

Nel ’51, quando ero soldato a Mestre, ho fatto il battipista ai Campionati Italiani di Asiago. Lì ho conosciuto il Capitano Piero Arnol, personaggio importante nella Federazione FISI.

Anche le donne sciavano?

Ai miei tempi le donne per sciare dovevano prendere gli scarponi dei padri così non lo facevano spesso. Fra la prime sciatrici mi ricordo Paola Delsan, Orsolina Ferrod e mia sorella, Antonietta Pellissier. Poi ci sono state Franca Martin e Cristina Banard. Dopo ancora Irma Pellissier e Liliana Berthod, e le mie figlie Donatella e Barbara, che hanno partecipato ad alcune edizioni dei Campionati Italiani dei Giochi della Gioventù.

Arturo Martin
Arturo Martinsciatore d'altri tempi
Nato il 10 ottobre del 1915, Arturo Martin ha sempre abitato nella piccola frazione del Courthoud a Rhêmes Saint Georges, dove dall’età di dieci anni circa, attorno al 1925, nel periodo invernale, ha praticato lo sci di discesa.

L’attrezzatura

All’epoca la pratica dello sci era l’unico svago che i ragazzi dei piccoli paesi di montagna avevano nel periodo invernale. Quando arrivava la neve, da una parte c’era tanta voglia di sciare ma dall’altra tutti erano consapevoli di doversi arrangiare per recuperare l’attrezzatura occorrente per divertirsi con i compagni.

Quando Arturo ha cominciato a sciare, tutta l’attrezzatura era costruita dai ragazzi stessi con l’aiuto dei genitori e dei nonni, più esperti. Per gli sci si utilizzavano due tavole in larice della lunghezza di 1 metro circa l’una alle quali venivano arrotondate le punte. Gli attacchi erano realizzati mediante dei fili di ferro, infilati a caldo trasversalmente alle tavole; essi permettevano un rudimentale aggancio degli scarponi. Questi ultimi consistevano nei caratteristici “sabot” in legno.

In quel tempo, tutto il materiale occorrente veniva recuperato con grande difficoltà date le ristrettezze del tempo: mancavano soprattutto il ferro e le attrezzature per eseguire le varie lavorazioni.

A questo proposito, Arturo ricorda un aneddoto. Durante un pomeriggio di sciate in compagnia, ruppe un sabot: nel tornare a casa era molto preoccupato di dover riferire l’incidente alla madre per paura di un rimprovero!!

In seguito, si è passati alla costruzione di sci più lunghi con il legno di betulla, molto più leggero; veniva inoltre utilizzata la tecnica di immersione del legno nell’acqua calda, per dare la forma arrotondata allo sci.

Nei primi anni al Courthoud erano in 4-5 i ragazzi a praticare lo sci; spesso erano seguiti e ricevevano consigli da Thomas Martin, un ragazzo più grande che aveva più esperienza e un’attrezzatura migliore.

Alla vista dell’attrezzatura odierna Arturo si mostra molto sorpreso per il veloce progresso dei materiali a cui lui stesso ha assistito per più di 80 anni.

Le gare

Le prime gare di sci che si svolsero a Rhêmes Saint Georges si snodavano lungo un percorso che partiva dall’attuale municipio, scendeva alla frazione Sarral per risalire poi sino all’hameau di Proussaz passando sulla sinistra orografica per i villaggi di Voix e Frassiney, per poi passare sull’altro versante e salire fino alle baite di Vergogne e infine scendere di nuovo al Municipio. Si trattava quindi di gare con un percorso misto, in gran parte in zone sottoposte a cadute di valanga. Erano gare molto faticose soprattutto per le condizioni delle “piste”, praticamente inesistenti, dove il tracciato era addirittura deciso dal primo concorrente che, oltre alla fatica della gara, si doveva accollare anche quella di eseguire la traccia, sfruttata poi dai concorrenti che lo seguivano. Nelle salite la mancanza di qualsiasi tipo di “sciolina” provocava a tutti gli sci la formazione di zoccoli di neve che dovevano necessariamente essere rimossi prima di affrontare le discese. Inoltre per evitare che nelle salite gli sci scivolassero indietro si era soliti arrotolare una cordicella attorno agli stessi.

Arturo racconta che il vincitore della prima gara che si svolse a Rhemes Saint Georges ebbe per premio un contenitore per il latte in legno.

Arturo si ricorda che in una delle prime edizioni di questa gara, un conosciuto sciatore di Saint Nicolas, un tale Vagneur, lo superò nella salita verso Verogne con suo grande stupore e soprattutto quello di chi era al controllo in cima alla salita che si aspettava di applaudire l’atleta di casa.

Un’altra gara che si svolgeva nel Comune di Rhêmes Saint Georges era la discesa dalla frazione di Courthoud fino a Frassiney su un percorso a scelta dei concorrenti e ovviamente non battuto, sul quale veniva semplicemente indicata una traccia di massima; solo negli ultimi anni in alcuni tratti veniva battuta la pista. Un’edizione della gara è stata vinta dallo stesso Arturo.

Tra gli abitanti di Saint-Georges era famosa la gara della Comba nella zona a monte del Municipio con percorso completamente libero eccetto un passaggio obbligato sopra il canale dell’acqua.

Un altro ricordo di Arturo è quello della discesa dall’alpeggio di Felumaz all’hameau del Courthoud con notevoli rischi per i partecipanti a causa della necessità di attraversare zone di caduta valanghe.

La vita da sciatore di Arturo

A cavallo degli anni ’30 Arturo partecipa al Campionato Valdostano di discesa libera a Pila dove giunse secondo a 20 centesimi dall’avversario Paris. La gara si svolse con una fitta nebbia dove Arturo gareggiò come al solito senza guanti e occhiali: all’arrivo l’allenatore Barmaz vedendo Arturo scendere l’ultimo tratto con decisione e senza fare curve commentò orgoglioso “Questo è il mio atleta!!”.

Una altra gara della quale Arturo si ricorda è quella di Courmayeur: giunse 7° su un pista ghiacciata ma per premio vinse un paio di sci.

Di quegli anni Arturo rammenta la grinta e la voglia di riuscire che ognuno metteva in campo durante gli allenamenti di sci e nelle varie competizioni a cui partecipavano. Praticare sport era sia un modo per fare qualcosa di diverso, di divertente, rispetto alla dura vita di montagna, sia un’occasione per conoscere gente e per fare esperienze fuori dal paese nativo. Già allora oltre alle innate capacità fisiche occorreva imparare le varie tecniche di sciata e il modo di padroneggiare al meglio la scarna attrezzatura. Come per l’attrezzatura anche per imparare ci si doveva arrangiare: tutti imparavano da soli a sciare!

Nonostante l’attrezzatura davvero rudimentale e un intraprendenza e un coraggio quasi folli, Arturo non ha mai subito gravi incidenti o fratture, tranne qualche piccola escoriazione in giovane età dovute a piccoli scontri contro gli spigoli delle case dell’hameau Courthoud.

Nel 1936 Arturo partì per il servizio militare a La Thuile dove svolse la funzione di istruttore per gli ufficiali di tutti i corpi militari.

Finito il servizio militare, nel 1951, venne assunto come guardaparco del P.N.G.P. dove si ricorda di particolari sfide di velocità con i colleghi; in particolare racconta che nelle discese nel bosco lui si accucciava sugli sci mentre gli altri, con meno esperienza, sbattevano contro i rami delle piante.

La capacità di sciare facilitava inoltre la sua attività di contrabbando verso la Val d’Isere anche nel periodo invernale: egli trasportava oltralpe pesanti carichi di 25-30 chili. Quando erano carichi, durante la discesa utilizzavano la tecnica del telemark con un solo bastone, tecnica differente dalla attuale tecnica del telemark.

Nel 1975 e 1976 Arturo partecipa alla Marcialonga e nel 1976, alla considerevole età di 60 anni, al Trofeo delle Regioni. Di quelle gare, Arturo ricorda in particolare il gran freddo dell’edizione del 1976 con la temperatura di – 16 gradi in partenza con necessario riscaldamento sin dalle 5,30 della mattina, del calore e grande incitamento della gente per tutti gli atleti, di casa e non.

Arturo partecipò anche a varie edizioni del Trofeo Rollandoz di scialpinismo in coppia con Natalino Thérisod e con Romildo Pellissier. Allora erano competizioni in cui si partiva con lo zaino, con la corda e la piccozza; non poteva mancare il consueto “casse croute”. Erano edizioni a cui partecipavano sia veri e propri atleti allenati per far gare, che persone come Arturo che vi partecipavano per passione per la montagna e per amore del proprio paese.

Romildo Pellissier
Romildo PellissierSciatore d'altri tempi
“Quando eravamo piccoli, durante gli anni delle elementari, il posto dove andavamo di più a sciare era dal Gran Ru, sopra al forno comunale, fino all’attuale Maison du Guide di David Pellissier. In altre occasioni, quando ero a casa, da Frassiney si saliva a piedi e poi si scendeva con gli sci verso il villaggio. Oppure ancora: da Les Grandzes, attraversavamo Les Thules e si arrivava a Frassiney.

Belle erano le discese a La Comba: abbiamo fatto degli speciali, ma anche discese con porte un po’ più larghe, tipo gigante. Altre volte andavamo al Trampo a fare qualche discesa, nelle pause pranzo. Uscivamo da scuola e andavamo subito a sciare perché i libri non li aprivamo tanto.”

“Gli sci erano di legno, non c’erano lamine di ferro, solo spigoli di legno che dopo qualche tempo si arrotondavano e così sul ghiaccio non tenevano più niente.

“Inizialmente alle elementari abbiamo cominciato con il fondo, poi quando siamo cresciuti abbiamo iniziato con la discesa. Facevamo solo le gare, gli allenamenti non esistevano. Il nostro unico allenamento era andare da Frassiney, dove abitavo, a scuola, nel capoluogo. Spesso facevamo questa strada con gli sci ai piedi anche quattro volte al giorno perché nella pausa pranzo andavamo a casa a mangiare. Ogni tanto gli Alpini venivano e ci davano qualche dritta, ma non erano mai veri e propri allenamenti.

Per 8-10 giorni all’anno veniva il Sig. Stangallino e qualche altro bravo che si occupava dei bambini e insegnava loro qualcosa per migliorare.

Dopo un po’ però fondo non ci piaceva più, discesa era più divertente.

Io e Guido Banard siamo stati presi in ASIVA e ci siamo rimasti per tre anni. Poi non mi ricordo se abbiamo smesso perché eravamo fuori età o perché dovevamo lavorare. I primi due anni siamo andati in ritiro a La Thuile con gli allenatori Paney e Paris. I ritiri erano più o meno come quelli odierni solo che ce n’era uno solo all’anno e durava parecchio, magari 15-20 giorni. Vitto e alloggio erano pagati ma alle altre spese, come i materiali, dovevamo provvedere noi. Il terzo anno siamo andati a Gressoney con David Davide. Quando tornavamo dai ritiri, Serafino, più grande di noi, ci portava a fare le gare. A quei tempi lui aveva anche un noleggio di sci e ce li prestava.

Dopo la discesa ho ricominciato con il fondo. Ero nella categoria Amatori e vincevo ancora delle Coppe.”

“Le discese che facevamo qui non erano poi così organizzate. Al massimo si andava su il giorno prima per battere un po’ la pista ma non si dava troppo peso a prepararla al meglio: sapevamo che in quelle condizioni si vedeva chiaramente chi sciava meglio.

La gara del Courthoud è stata fatta per tre quattro anni di seguito poi non più: si partiva dal Courthoud e si arrivava al villaggio di Frassiney. Forse in qualche edizione siamo partiti solo dall’hameau Mougnoz. Non c’era un percorso, ma bene o male la strada era quella quindi passavano tutti più o meno negli stessi punti. C’erano alcune bandierine per delimitare un po’ il percorso, ad esempio appena sotto il Mougnoz.”

“Quanto sciavamo noi non avevamo i guanti, solo un berretto per coprire al meglio la testa: In cima a Chaz Dura (La Thuile ndr) con -15°/-20° faceva proprio freddo!! Non avevamo neanche gli occhiali: il problema non era proteggere gli occhi dal sole ma dal brutto tempo. Era difficile sciare quando non si vedeva niente. Per finire ne avevamo comprati un paio proprio a La Thuile.”

“In Valle d’Aosta esistevano già molti sci club: i più grandi club tipo Pila, Aosta, Courmayeur e Gressoney avevano già tutt’altre attrezzature e disponibilità economiche. Noi ad esempio non sapevamo neanche cos’era una seggiovia. Erano comunque molto più bravi di noi: i loro atleti si allenavano di più, erano messi molto meglio sullo sci. Poi noi quando facevamo le garette usavamo dei bastoni rigidi come pali, quindi sbatterci contro faceva male. Loro erano meglio organizzati, avevano già altri materiali.

“Quando noi facevamo le gare erano i vari sci club che le organizzavano: c’erano già delle specie di “circuiti” per ogni categoria. Le categorie sono più o meno rimaste le stesse fino ad adesso. Anche il Granta Parey ne ha organizzate subito un paio: un giro di fondo dietro Voix e la gara al Cloux.

In quest’ultima mi ricordo che avevo battuto anche Candido, che era fortissimo. Lui è poi diventato maestro di sci. Chi apparteneva allo sci club aveva una tessera e faceva le gare per conto di quello.”

“Abbiamo fatto una gara a Rhêmes-Notre-Dame proprio dove passava lo ski lift fino a qualche tempo fa. Per l’occasione era stato aperto l’albergo di Lise (Hotel Grande Rousse ndr) e tutte le ragazze del paese si erano trovate per far da mangiare agli atleti.”

Aldo Gontel
Aldo GontelSciatore d'altri tempi
Aldo Gontel, nato nel 1924 è rimasto a Rhêmes-St-Georges fino all’anno 1953 e non ha quindi visto la nascita dello Sci Club. Durante la sua infanzia e giovinezza però si è dedicato allo sci come tutti gli altri suoi coetanei.

Negli anni ’34-’35, a ridosso dell’epoca del fascismo, lo sport era quasi d’obbligo. Anche nel praticare lo sci, tutti i giovani erano organizzati in vari gruppi secondo le età: figli della lupa, balilla, avanguardisti, pre-militari. Il podestà, Vittorio Barmaz, ordinava la costruzione degli sci a Zeffirino Favre e li teneva in un deposito: si potevano andare a prendere per sciare e fare le gare e non si pagavano. Se per caso andavano rotti o c’era bisogno di aggiustarli, Zeffirino li metteva a posto su ordine del podestà.

Le garette che facevamo seguivano più o meno lo stesso percorso, e spesso erano fatte prima delle feste: i balilla partivano dal Municipio, scendevano fino al vecchio ponte di Sarral, risalivano sulla sinistra orografica attraversando i torrenti la Guettaz e Pescioy per raggiungere il piano dietro il villaggio di Voix, passavano sulla destra orografica, e giunti all’attuale hameau de Les Cris, tornavano alla partenza. Gli avanguardisti, dopo aver raggiunto Voix, salivano ancora verso il villaggio di Frassiney e poi seguendo il Grand Ru tornavano al Municipio. I pre-militari non si fermavano a Frassiney ma proseguivano verso Proussaz per poi attraversare il torrente Bioula e il Mont Fra e arrivavano a Vergogne. Da qui proseguivano all’incirca verso la Traversa e scendevano poi la Comba per giungere all’arrivo. Il podestà era sempre presente a queste competizioni.

Questa gara veniva fatta quasi tutti gli anni; una volta, quando ero un balilla, stavo andando bene, (anche perché mancavano i più forti) ma poi ho rotto gli sci così sono arrivato al Municipio a piedi.

Ai primi tre arrivati di ogni categoria venivano dati dei premi: spesso erano degli sci altre volte attacchi da montare sugli sci.

Battevamo le piste con gli sci, in gruppetti di quattro o cinque: lo facevamo su settimana e poi fino alla gara non si poteva percorrere il tracciato. Nei tratti in pendenza si lisciava un po’ il terreno salendo con gli sci a scaletta, mentre nei pezzi pianeggianti facevamo solo una traccia. Le bandierine triangolari rosse per segnalare il percorso si mettevano solo la mattina della gara.

Una settimana all’anno veniva un maestro a insegnarci: ci portava di fronte all’attuale Maison Pellissier e ci faceva salire lungo la montagna. Poi a turno scendevamo. Una volta anche un maestro è salito: scendendo però, verso il fondo, è caduto! Ha rotto gli sci ma non si è fatto troppo male. Andavamo a sciare di pomeriggio, i giorni che non avevamo scuola.

L’attrezzatura, ovviamente, non era come quella di oggi: gli sci erano di frassino, spesso anche molto pesanti e non avevano le lamine, come scarponi usavamo quelli di tutti i giorni e li agganciavamo agli attacchi. I bastoncini erano dei rami di nocciolo, un legno più leggero del frassino, che ci procuravamo e costruivamo noi. Negli ultimi anni, compravamo le rondelle che aggiungevamo in fondo. All’impugnatura mettevamo delle staffe per non perderli. Spesso è capitato di dover tornare indietro a recuperare i bastoni che avevi perso perché le staffe non reggevano. Per l’abbigliamento non c’era nulla di particolare: si usavano i pantaloni che si mettevano ogni giorno. Solo in tempi più recneti, i più bravi avevano dei pantaloni che si infilavano nelle calze.

Solo chi se lo poteva permettere e quelli un po’ più bravi usavano la sciolina: così erano ancora più forti. Finito di sciare dovevamo riporre gli sci in una posizione particolare altrimenti non mantenevano la stessa forma: se non avevi delle cinghie dovevi infilare gli sci in mezzo a pezzi di legno che costruivamo noi. Dovevamo tenerli uniti in coda, al centro, invece, sotto gli attacchi, incastravamo uno spessore, e in cima li riunivamo facendo attenzione a non forzare sulla parte arrotondata.